
È PERMESSO?
Scritto da Enrico Acciani
Diretto da Giorgia Remediani
Con Ugo Caprarella e Mariachiara Di Mitri
Un salotto anni ’70 ridotto all’osso, due sedie in velluto consumato, un tavolino basso, un giradischi funzionante, qualche vinile, una valigia chiusa. Gli oggetti non cambiano, ma assumono senso diverso a seconda delle scene. I colori sono caldi, terrosi, sfumati: senape, arancio, marrone. Sul fondo, in penombra, il musicista: parte integrante del mondo, ma mai invadente. Le luci scolpiscono stati d’animo più che ambienti: l’appartamento si trasforma in bagno pubblico, sala da ballo, interno mentale, senza mai aggiungere nulla. Evelina e Gesmundo convivono da otto anni. La loro vita è costruita con cura: piccoli rituali quotidiani, battute sempre uguali, una casa ordinata con le tende arancioni e il giradischi che gira. La scena è semplice: due sedie, un tavolo, qualche oggetto d’epoca. È tutto lì. Un interno da fotoromanzo anni ’70, congelato in un’epoca che sembra innocua ma che in realtà respira ancora sul collo.
Gesmundo è un uomo affettuoso, ironico, intelligente. È convinto di essere dalla parte giusta della storia: ama Evelina, non alza mai la voce, cucina la domenica. Ma la sua presenza è pesante come il silenzio dopo una battuta che non fa ridere. Gesmundo non ascolta: occupa. Evelina invece si è spenta senza accorgersene. Ogni giorno ha lasciato qualcosa indietro: una parola non detta, un desiderio smorzato, una parte di sé. È diventata “brava”, “paziente”, “comprensiva”.
Sembra quindi una commedia di coppia: ci si ride sopra. Gesmundo si destreggia tra piatti da lavare e riviste femministe che non capisce. Evelina ride, ma solo con la bocca. Il musicista sul fondo accompagna ogni scena come un controcanto emotivo, alternando malinconie da piano bar, scarti funk, e silenzi troppo pieni. Poi succede qualcosa. Evelina racconta a Gesmundo di essere entrata per caso in un centro culturale. C’era una mostra, delle fotografie di donne negli anni ’70: madri, ribelli, nudità fiere e sorrisi storti. In bagno, una donna più grande l’ha guardata riflessa nello specchio e le ha detto: “Cos’hai fatto, tesoro, per diventare così educata?” Non era una provocazione. Era una domanda. E Evelina da allora non dorme più. Ha cominciato a ricordare chi era prima di diventare “la compagna di Gesmundo”: una ragazza che faceva teatro, scriveva versi su un’agendina nera, si metteva il rossetto solo per ballare da sola in camera. Quel passato non è nostalgia. È fame. Da lì, la mappa si strappa. Evelina non grida, non tradisce, non scappa. Ma cambia. Smette di chiedere “È permesso?” e comincia a vivere come se il permesso non servisse. E questo, per Gesmundo, è peggio di qualsiasi infedeltà. Gesmundo prova a recuperare con regali, frasi dolci, mezze scuse. Ma è sempre lui a parlare. Evelina, invece, tace. E poi finalmente esplode. “Non voglio un altro uomo migliore. Voglio me. Io mi voglio. ”Balla da sola, in mezzo al salotto. Non per provocarlo. Perché ne ha bisogno. Gesmundo resta fermo. Per la prima volta, ha paura. Di perdere lei, ma soprattutto di perdere il ruolo. Il ruolo dell’uomo buono, che ama tanto ma assorbe tutto. E lei glielo dice in faccia: “Tu non mi fai male. Ma non mi lasci spazio.”
Il finale è una scelta netta. Evelina prepara una valigia. Non va da un altro. Non va via per ricominciare altrove. Va a riprendersi. Gesmundo non la trattiene. Resta immobile, con indosso un grembiule che aveva messo per farsi perdonare. Ridicolo e tragico. Solo. La scena finale è asciutta: Lei in controluce, una valigia in mano. Lui seduto. Il musicista suona un lento. Poi silenzio. Poi buio.
Mar | 28/10/2025 | 21:00 |
Mer | 29/10/2025 | 21:00 |
INTERO | RIDOTTO | |
SETTORE UNICO | € 20,00 | € 18,00 |
- Autore Enrico Acciani
- Regia Giorgia Remediani
- Attori Principali Ugo Caprarella e Mariachiara Di Mitri