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IL CASO KAUFMANN

di Giovanni Grasso

Franco Branciaroli, Graziano Piazza,
Viola Graziosi

regia Piero Maccarinelli
e con Franca Penone, Piergiorgio Fasolo, Alessandro Albertin, Andrea Bonella
scene Domenico Franchi
luci Cesare Agoni
musiche Antonio Di Pofi – costumi Gianluca Sbicca
produzione Centro Teatrale Bresciano,
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Fondazione Atlantide – Teatro Stabile di Verona, Il Parioli

1941, Monaco di Baviera. Cella di massima sicurezza all’interno del carcere di Stadelheim
Un condannato a morte, alla vigilia dell’esecuzione, chiede alla guardia carceraria di poter vedere il cappellano. Alle rimostranze della guardia (“Ma a che le serve un prete? Lei è ebreo!”), il prigioniero ribatte che ha sentito l’improvviso desiderio di convertirsi al cattolicesimo. La guardia, nonostante la iniziale perplessità, acconsente alla strana richiesta. Pochi minuti dopo, il cappellano entra nella cella di Leo Kaufmann, anziano ex presidente della comunità ebraica di Norimberga.
Leo chiarisce immediatamente al sacerdote che non ha alcuna intenzione di abbandonare l’ebraismo in punto di morte, ma che ha inventato la storia della conversione solo perché spera di poter far recapitare un messaggio di addio alla giovane Irene, condannata a quattro anni di carcere duro per falsa testimonianza, nel disperato tentativo di salvare l’anziano amico.
Il prete, incuriosito dalla vicenda tragica e colpito dalla dignità del prigioniero, accetta di restare con lui in cella per le sue ultime ore. E, in un dialogo intimo e serrato, ne raccoglie le confidenze e i segreti.
Leo Kaufmann svela al prete che è stato condannato a morte dal Tribunale speciale di Norimberga in violazione delle Leggi dell’Onore e del Sangue del 1935, per aver commesso il reato di “inquinamento razziale”. Nonostante Kaufmann si sia sempre dichiarato innocente, la Corte di Norimberga ha infatti stabilito l’esistenza di una lunga relazione di carattere sessuale con la poco più che ventenne “ariana” Irene Seidel, figlia del suo migliore amico.
Davanti al prete cattolico, che si dimostra umano e comprensivo, l’anziano ebreo accetta di ripercorrere la sua drammatica vicenda fin dagli inizi quando, nell’ormai lontano 1933, Kurt, il suo migliore amico, gli affida la figlia Irene, decisa a trasferirsi a Norimberga per seguire un corso di fotografia.
Tra l’anziano uomo, vedovo e senza figli, e la giovane “ariana” si instaura immediatamente un rapporto speciale di affetto, confidenza e, anche, di desiderio, immediatamente represso. Ma, nonostante l’implacabile macchina di persecuzione anti-ebraica messa in piedi dal nazismo al potere renda, con il passar del tempo, sempre più difficile la prosecuzione di questa profonda e sincera amicizia, il legame innocente tra Leo e Irene non è passato inosservato tra i vicini di casa, i conoscenti, gli abitanti del quartiere, sempre più imbevuti di odio e dominati dalla paura.
Irene, per sottrarsi alle insinuazioni e ai sospetti del quartiere, accetta allora di sposare un suo giovane corteggiatore, Paul. Ma, alla partenza di questi per il fronte, la macchina del sospetto e della calunnia si rimette pericolosamente in moto.
Kaufmann, ridotto ormai in miseria dai provvedimenti razziali, viene arrestato e condotto in carcere. Ma se, in mancanza di prove, il giudice istruttore Hans Groβ ne firma il proscioglimento, il settario giudice nazista Rothenberger, presidente del Tribunale speciale di Norimberga, riesce, con un artificio procedurale, a farsi attribuire la competenza sul caso. E per Kaufmann e Irene, trascinati in un processo farsa, con giudici fanatici e con testimoni malevoli e inattendibili, non vi sarà più scampo.
Ispirato a una storia vera, quella di Leo Katzenberger e Irene Seidel, “Il caso Kaufmann” è la trasposizione teatrale dell’omonimo romanzo di Giovanni Grasso (Rizzoli, 2019), vincitore nel 2019 di numerosi riconoscimenti (tra cui il Premio Cortina d’Ampezzo per la narrativa italiana e il Premio Capalbio per il romanzo storico).


La calunnia è un venticello
Nell’importante saggio Come si diventa nazisti, William Sheridan Allen sostiene che il primo sintomo è l’indifferenza, o meglio, il non voler vedere piccoli torti subiti da altri. A me è sempre sembrata una verità esemplare: in microscala, che poi, in macroscala, sarebbe diventata, per dirla con le parole di Hannah Arendt, la Banalità del male.
Il caso Kaufmann prende in esame una singola vita e una singola morte. Ci troviamo di fronte all’orrore delle leggi razziali, ma non ancora di fronte al male assoluto della Shoah.
Kaufmann è un commerciante ebreo che riceve l’incarico da un amico ariano di occuparsi della sua giovane figlia a Norimberga. Da questo atto di generosità prende inizio il suo calvario.
Quello che mi affascina del testo di Giovanni Grasso è proprio l’iniziale indifferenza e poi la demenziale insensatezza della costruzione di indizi contro di lui da parte della sua piccola comunità di quartiere.
Tutto si svolge infatti in un quartiere di una città di provincia, Norimberga.
La costruzione delle prove contro di lui, l’inesorabile incedere della calunnia verso Irene, la speculazione degli indizi abilmente costruiti, procede come nel miglior polar.
Parallelamente, i due processi contro Kaufmann testimoniano come le parole possano assumere valori diversi a seconda dell’uso e della contestualizzazione che ne viene fatta.
Testimone esterno di tutte le narrazioni è un prete cattolico a cui Kaufmann vorrà ricostruire la sua oggettiva verità.
Ma sul plot principale si inseriscono, interagendo, anche dati personali, sentimenti che si confondono fra una posizione paterna e un desiderio inevitabile della bella Irene.
Eppure, tutto è affrontato con grande pudore e, insieme, con una inesorabile denuncia della mediocrità della calunnia che porterà all’esecuzione di Kaufmann per disonore razziale.
Rappresentare questa storia è per me un piacere e un dovere civile.
Piero Maccarinelli


Nota a cura di Camilla Baresani Varini
Due sono i temi che danno al testo di Giovanni Grasso il vigore del collegamento con l’attualità.
Anzitutto, l’eterno antisemitismo che a fasi cicliche si riaccende e, di conseguenza, la necessità di continuare a raccontare come si arrivò all’Olocausto mostrando alle nuove generazioni le conseguenze del razzismo. In particolare, il lavoro di Grasso parla di paure tuttora diffuse persino nella nostra Europa. Basti pensare alle teorie sull’inquinamento razziale di Orbán, il primo ministro ungherese. Va aggiunto che l’argomento delle persecuzioni razziali oltre a essere perfettamente nel dibattito del nostro tempo, è collegato al tema del fascismo, del nazismo, dei totalitarismi che sfruttano le paure create nella popolazione per mettere in moto i peggiori risentimenti dei singoli cittadini: ecco allora l’eterno scatenarsi del meccanismo della delazione, che accompagna tutte le dittature, come nel Kaufmann, come in tanti romanzi di successo (da Ognuno muore solo di Hans Fallada a Il quinto angolo di Izrail’ Metter), e come ancor oggi nella Russia di Putin.
Va inoltre ricordato che proprio per l’attualità di questi temi, il totalitarismo, la delazione, il razzismo e l’antisemitismo, nel mondo editoriale i libri che hanno nel titolo le parole “Hitler”, “Mussolini”, “nazismo”, “fascismo” contano regolarmente su vendite maggiorate. Il pubblico dei lettori continua a provare interesse, curiosità, desiderio di saperne di più. La grande storia e Passato e presente, programmi RAI condotti da Paolo Mieli, ogni volta che propongono puntate su Mussolini e il fascismo e soprattutto sull’Olocausto, il nazismo, Hitler, le persecuzioni razziali ottengono i picchi di ascolto di stagione, anche se spesso si tratta di repliche.
L’altro tema portante del Kaufmann di Grasso riguarda quella particolare zona franca in cui si possono creare dei rapporti di scambio intellettuale tra un uomo anziano e una giovane. In questo caso la relazione è totalmente asessuata, benché non manchino i margini di ambiguità. Il desiderio a tratti è presente, forse solo in Kaufmann, forse anche in Irene, e in noi rimane un margine di dubbio su quello che avrebbe potuto succedere se entrambi non si fossero censurati. Questo genere di relazione, tra pigmalioni e giovani discepoli, ha come correlato la produzione di pettegolezzi, maldicenze, risatine, insinuazioni eppure è parte integrante del nostro immaginario e delle nostre vite. Persino il losco Humbert Humbert, protagonista di Lolita, nella sua viscida attività di corruttore aspira a essere il pigmalione dell’adolescente che gli fa rivivere emozioni sopite. Kaufmann e Irene non oltrepassano nessun limite, anche se l’età della ragazza lo consentirebbe. Tuttavia, il desiderio aleggia sul loro scambio, su di lei che offre giovinezza e apertura alla vita, su di lui che offre aiuto concreto e saggezza. Se Kaufmann non fosse stato ebreo, avrebbero potuto oltrepassare il limite delle convenzioni, scatenando solo banali pettegolezzi. Invece la questione della razza rende drammaticamente sconvenienti, addirittura mortali le illazioni e le fantasie di chi li scruta pieno di invidia e risentimento sociale.
Oggi la censura, è tornata di moda, è al centro del dibattito corrente. Non quella clericale, dei totalitarismi o del perbenismo borghese, bensì una nuova forma di stampo opposto. La censura che vuole proteggere la sensibilità delle minoranze e dei portatori di ogni forma di diversità, del corpo, del colore della pelle, del genere, dell’età. Ai nostri giorni, la vicenda esistenziale di Kaufmann e di Irene sarebbe soggetta a nuove forme di censura?
Camilla Baresani Varini – Presidente Centro Teatrale Bresciano

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24 - 29 Ott 2023
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